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Erano qui prima di noi e… se non stiamo attenti saranno qui anche dopo!
C’è un’espressione curiosa che avvicina gli antichi romani ai naturalisti del XVI secolo: Ludus Naturae, cioè scherzi della natura, una definizione utilizzata per spiegare le bizzarrie, apparentemente inspiegabili, che ogni tanto emergono nell’ambiente in maniera inaspettata. Che effetti dovevano fare infatti i fossili di conchiglia ad alta quota o le orme di grandi animali impresse nella roccia, non riconducibili a nessun altro essere vivente conosciuto?
Quando le Dolomiti erano un mare
Il fatto è che le nostre Dolomiti sono piene di tracce del mare tropicale in cui erano immerse. All’incirca 260 milioni di anni fa l’area assomigliava all’attuale pianura del Po: era una vasta piana fluviale, bordata a ovest da rilievi montuosi,e ospitava conifere, felci ed equiseti. Gli scheletri di alghe e spugne calcaree iniziarono a depositarsi e ad accumularsi sul fondo di quel mare e nel corso dei millenni arrivarono a formare mastodontiche scogliere, simili alle odierne barriere coralline dei mari tropicali. Lo Sciliar, le Odle e il Sasso Putia, ad esempio, sono i resti delle scogliere più antiche.
Il Geopark Bletterbach
Le prime orme di dinosauri ritrovate alla fine degli anni ’80 rappresentarono una rivoluzione per la comprensione degli ambienti dai quali si originò la penisola italiana. Da quegli studi si sviluppò un filone di ricerca che permise di individuare nelle Dolomiti e in tutto il sud alpino un record di impronte di rettili che furono datate con una precisione di gran lunga maggiore rispetto ai resti fossili rinvenuti in altre parti del mondo. Ma dove possiamo vedere queste impronte? Un luogo molto interessante è il Geopark Bletterbach, un canyon dolomitico scavato fin dall’era glaciale, che si trova in prossimità della Val di Fiemme. Nei diversi percorsi del canyon, percorribili anche con bambini, le guide naturalistiche sono pronte a svelare i segreti delle piante e degli animali che popolarono questa regione centinaia di milioni di anni fa.
Il favoloso sito Lavini di Marco
Centinaia di orme di dinosauri di forme e dimensioni differenti sono poi impresse presso Lavini di Marco, alle pendici del monte Zugna, a sud di Rovereto. Gli affioramenti rocciosi sono riferibili all’inizio del Giurassico, circa 200 milioni di anni fa, e rappresentano quello che rimane, allo stato fossile, di una grande piana carbonatica per molti versi paragonabile alle attuali coste del Golfo Persico. L’accesso al sito, senza visita guidata, è libero e lungo il percorso sono stati installati pannelli esplicativi in pietra. All’area paleontologica di Lavini, istituita nel 1991, si è recentemente aggiunta la Grotta delle Pale Rosse, nel Tesino. È una ampia cavità carsica all’interno della quale sono stati segnalati, da parte di appassionati del settore, resti ossei di grandi dimensioni. Da non perdere poi la Val d’Ambiez, vicino a Comano, dove tra i lastroni di rocce si possono scorgere i megalodonti dalla caratteristica forma a cuore o conchiglia.
Infine, molti sono i fossili e le impronte di animali incastonati nelle rocce della Val Duron. Cavità e grotte sono scrigni di preziosi cristalli di calcite, ricercatissimi nei secoli scorsi. Sulla sinistra della valle ci sono i cosiddetti Frati, tozzi pinnacoli dalle forme arrotondate, antichi ricordi di un passato vulcanico, scolpiti dal tempo. Insomma, il Trentino è pieno qua e là di vita passata che si è fatta pietra. Quando programmate la vostra prossima escursione nella nostra bella regione, tenete presente anche queste mete. Sono interessantissime e meritano assolutamente un viaggio.
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Ph credits:
In copertina: Arch. Foto APT Rovereto, Vallagarina e Monte Baldo – Angela Salvaterra