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C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico
Castelli antichi che si intravedono dal fondovalle, attraverso le frasche di rigogliosi meli. Montagne maestose che proteggono frutti nutrienti e genuini, tra irti pendii e muretti a secco. Sono queste le suggestive istantanee che ci regala l’attuale Trentino agricolo, dove la coltivazione del melo è una vera e propria meraviglia del paesaggio. Ma è sempre stato così? C’è sempre stata tanta abbondanza di meli nella storia delle nostre valli? Scopriamolo insieme attraverso un breve viaggio con la “macchina del tempo”.
Il Trentino di una volta
Prima sosta: metà Ottocento. Il paesaggio che troviamo è molto diverso da quello odierno. Al posto dei meleti, con i lunghi filari ben ordinati, troviamo tante diverse coltivazioni. Ci sono la vite, la segale, il frumento, il granoturco, l’orzo, alcuni tipi di legumi, la patata e alberi da frutto isolati, fra i quali anche il melo. I frutti che si raccolgono generalmente non vengono venduti, servono per il sostentamento della famiglia e degli animali.
L’alba della mela
Facciamo ora un salto indietro di oltre diecimila anni. Siamo nelle foreste dei meli patriarchi del Kazakistan. Gli uomini del neolitico raccolgono le mele per mangiarle fresche o per tagliarle a fette ed essiccarle. Probabilmente la dispersione occasionale dei semi attorno agli insediamenti dà inizio alla storia del frutto coltivato più diffuso al mondo. La mela è piccola, ha molti semi e ha un sapore asprigno. Un po’ alla volta la coltivazione si diffonde attraverso il Mar Nero, il Medio Oriente, l’Egitto, la Grecia e quindi Roma e il nord Europa.
Le mele del far west
Ed ora un altro bel salto nel tempo, di nuovo nell’Ottocento. Questa volta siamo nel far west! I pionieri europei stanno penetrando nelle grandi pianure dell’ovest. Le leggi americane impongono loro di marcare i confini delle terre con alberi di melo che, non essendo nativi, divengono segni inequivocabili dei nuovi insediamenti. A fornire i meli ci pensa uno strano personaggio, un po’ predicatore e un po’ ambientalista. È Johnny Chapman, meglio noto come Johnny Appleseed (seme di mela). Le piante non sono innestate e solo pochissime varietà producono mele di grandi dimensioni e di sapore dolce. Attraverso la pratica dell’innesto, queste mele cominciarono a diffondersi diventando cultivar sempre più apprezzate, dapprima in America e poi in Europa.
Il successo della mela trentina
Torniamo ora in Trentino: siamo verso la fine dell’Ottocento e si stanno verificando grandi cambiamenti. Il primo è la costruzione della ferrovia del Brennero che apre la via all’esportazione. Poi ci sono le bonifiche dei fondovalle, la costruzione di acquedotti e il miglioramento dei sistemi di irrigazione. Infine c’è la crisi della viticoltura dovuta all’attacco parassitario della fillossera, che provoca la distruzione di molte viti e la scelta di nuove colture. Comincia così, per la coincidenza di questi fattori, la diffusione delle coltivazioni di alberi da frutto – e soprattutto delle nuove varietà di mela provenienti dall’America – che avranno il loro boom tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento. Oggi le nostre mele trentine sono la principale coltura della regione e sono apprezzate in Italia e nel mondo per il loro sapore e la loro qualità. A questo successo hanno contribuito in modo determinante le strutture cooperative che sono l’ossatura portante di tutto il nostro sistema produttivo, logistico e commerciale.
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